Il padre di mio padre si chiamava Antonio. Faceva la guardia campestre, un mestiere che qui, per quel poco che ne so, non fa più nessuno. Girava per le campagne, controllava le vigne e i grandi alberi. Conosceva proprietà e confini che immagino potesse tratteggiare a occhi chiusi come le linee della sua mano. Sentieri e fossati hanno conosciuto i suoi passi e la sua ombra assorta. Non si parla se si è da soli in campagna, ci si sofferma piano tra i silenzi e il vento. Muti. E' da lui, forse, che ho ereditato l'amore per le lunghe camminate tra le querce e gli arbusti, quelle passeggiate di fiato corto e violette. Come quelle che regalava alla me bambina e che odoravano di bosco e di nonno.
[foto by rilaiepurilla]
Ma quanto bello è stare nel silenzio del vento ma in compagnia dei propri pensieri?
RispondiEliminaNon è solo bello, Amore, è sublime.
EliminaUna tra le cose che adoro di più.
Il padre di mio padre si chiamava Vincenzo, e io porto il suo nome. Faceva lo scarparo, come si dice a Roma. Cioè faceva le scarpe ai prelati, ai vescovi e forse anche ai cardinali; di sicuro ai preti. Campava bene, perché di preti Roma era piena. Per via di un Arciprete si spostò a Civitavecchia, e lì rimase. Era altissimo per quei tempi, una cassa di due metri gli dovettero fare. Parlava poco Mastro Cencio -così soprannominavano Vincenzo un tempo-, ma agiva. Era calvo, e mio papà pieno di capelli e io come papà fortunatamente.
RispondiEliminaNon aveva fatto nemmeno la terza elementare. Chissà dove aveva trovato il nome di mio padre, Amleto.
È morto che io avevo due anni. Gli ero affezionatissimo e nessuno mi disse la verità. È andato da un signore, poi torna. E io l'ho aspettato per più di un anno. Poi qualcuno me lo ha detto. Non ho mai capito perché si debba ingannare i bambini.
Faceva le scarpe ai prelati... sorrido. Detta così suona molto divertente. Ma nonno Vincenzo le scarpe gliele faceva davvero. E dovevano essere scarpe di ottima fattura visto che tanti esimi rappresentanti della Chiesa Romana si rivolgevano a lui.
EliminaAmleto è un nome dal suono dolcissimo. A volte i nomi li prendevano dai grandi libri. Nel mio paese ci sono persone che portano nomi altisonanti: Virgilio, Pompeo, Enea, Romeo e, ovviamente, anche Amleto.
Magari avesse fatto quelle scarpe là...sarebbe diventato ricco lui e pure noi. Ma lui le faceva davvero, a mano, per tutti i piedi, curati e pieni di calli, soprattutto questi, dove è richiesta molta sapienza. Nonno Cencio era er mejo de tutti. Il bello era che i preti pensavano che fosse un baciapile, mentre invece era un fervido miscredente.
EliminaAmleto è un nome dolcissimo, come chi lo ha portato. Papà credeva nel destino, per cui se fossi nato femmina mi avrebbe chiamato Ofelia. Pensa tu che gioia: la sora Ofelia, e per diminutivo Lia, poi Lietta e magari diventavo un donnone di 90 chili, e buona notte.
Ofelia, anzi Ophelia, è stato un nick che ho usato per un certo periodo in una chat che frequentavo. Mi è sempre piaciuto molto. E poi si "sposa" benissimo con Amleto!
EliminaMi pare che non si siano mai sposati..:) Lei muore nei gorghi di un fiume. C'è un bellissimo quadro del Rossetti, maestro del romanticismo inglese.
EliminaIo per fortuna sono nato Ofelio...
la figura del nonno mi è mancata.....ho avuto una infanzai popolata di donne,.....però mi sarebbe piaciuto....
RispondiEliminaFortunatamente io ho avuto nonne e nonni. A dire il vero ho perso presto Antonio e sua moglie, mia nonna. Lei non la ricordo neppure visto che è morta quando io avevo due o tre mesi.
Eliminabello "il padre di mio padre" :)
RispondiEliminaMille grazie Riccardo. Sei sempre molto gentile!
Eliminarispetto a "mio nonno" l'ho trovato molto più...
Eliminaforte come legame, più importante, riesco a spiegarmi?
ma non temere, sono io a non essere normale =D
Il padre di mio padre, a conti fatti, è mio nonno. Però per un titolo mi è piaciuto di più quello che ho scelto. E, a quanto pare, è piaciuto anche a te!
Eliminabello il lavoro di tuo nonno e belle le tue camminate. io da parte di madre ho nonno e bisnonno un po' raminghi, un po' operai, un po' contadini, un po' girovaghi. da parte di padre muratore e ristoratore da generazioni, anche se il mio nonno avrebbe volentieri fatto l'avvocato ma la guerra gli interruppe gli studi.
RispondiEliminaLe mie camminate, come ho scritto, potrebbero dipendere da lui. Non ha fatto in tempo ad insegnarmi molto, ma forse il sangue che mi ha lasciato ha fatto da sé.
EliminaUn sospiro immortale. La dolce immagine di eterni bambini andati via. Queste parole risuonano come vecchi abbracci. Dolce sera mia.
RispondiEliminaMio nonno, infatti, era molto affettuoso. Sopportava pazientemente i giochi e i piccoli dispetti di noi bambini. E il suo abbraccio certe volte lo sento ancora.
EliminaMi affascinano i mestieri distrutti dal progresso.
RispondiEliminaNon conoscevo nè la guardia campestre nè lo scarparo.
I miei nonni erano tutti contadini. Ritrovo le tracce di mio nonno materno, gran lavoratore, nei terrazzamenti che ricoprono la collina, sopra casa sua, dove aveva le viti, e nelle pietre che calpesto quando raggiungo la cima tramite la mulattiera, e ogni tanto lo ringrazio perchè immagino che quel sasso ce l'abbia messo lui.
Guardia campestre. Probabilmente, da qualche parte, ci sono persone che fanno ancora questo lavoro. Magari con altri strumenti e con tecnologie che mio nonno non sognava neppure.
Eliminada noi ci sono i guardia dighe.
EliminaI guardia dighe?
EliminaQuesti sono più strani delle guardie campestri.
Di certo qui, in cui non ci sono dighe, di guardia dighe non se ne trovano proprio.
guardia campestre di allora sarebbe come guardia forestale di adesso?
RispondiEliminaBella domanda.
EliminaNon te lo so dire...
Sì. La guardia campestre di allora era come l'odierna guardia forestale.
EliminaMi sovviene un altro nobilissimo lavoro ora scomparso -e si vede!-: lo "stradino". Erano umilissimi operai che mettevano a posto le strade fuori città, pulivano le cunette e riassettavano come meglio potevano il fondo stradale. Uno zio di Valentano faceva lo stradino. In quel paese sfollammo dopo il bombardamento. La divisa era calzoni alla zuava, scarponi, un berretto tipo alpino senza la penna e una giacca di panno grigioverde come i fanti. Quello zio si chiamava Felice, ed era veramente sempre sorridente e felice. Felice e orgoglioso di fare il suo lavoro.
Si è perduto lo stampo di questa gente felice.
Si sente parlare spesso dei mestieri scomparsi. Immagino esistano anche libri o speciali online su questo argomento. In ogni caso parlarne mi piace, anche se fa un po' malinconia!
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