27 gennaio 2014

Non passa, non passa, non passa per nessuno di noi



Prima li contarono.
Poi spuntarono i nomi.
Poi li contarono di nuovo perché non erano più dei nomi, soltanto dei numeri.
Poi andarono a prenderli, casa per casa.
Poi li rastrellarono, casa per casa.
Poi li radunarono da qualche parte.
Poi fecero l’appello, ed ebbero un numero anche i bambini in braccio alle madri, i neonati attaccati al seno, i vecchi morenti.
Poi li caricarono sui camion.
Poi li caricarono sui treni.
Poi frustarono e spararono e gridarono e usarono il calcio dei fucili per spingerli e rompere le ossa e usarono gli stivali per fare male, incitare, spingere, insultare, offendere,
ferire, uccidere non di rado.
Poi li stiparono sui vagoni merci. Talvolta per terra c’era qualche filo di paglia, più spesso niente: solo legno freddo e buio e sporco e puzza e odore di morte.
Poi i treni viaggiarono lungo i binari di tutta Europa, avanti carichi indietro vuoti, e l’Europa divenne un reticolo di binari dove i treni partivano pieni e tornavano vuoti;
e quando erano pieni era silenzio di paura, corpi stretti e buio, e quando erano vuoti erano silenzio di morte, buio.
E tutta l’Europa era piena di treni che andavano pieni e venivano vuoti ma era vuota di domande, e tutta l’Europa era piena di quel silenzio dentro che era silenzio di paura e fuori chissà che silenzio era, perché noi che eravamo dentro sentivamo solo quello, il silenzio fuori non arrivava perché il vagone era piombato e buio.
Poi i treni arrivavano alla fine del binario e alla fine del binario c’era una rampa, no, ce n’erano mille e più, di rampe, ma era sempre buio pesto, solo un faro che ti abbagliava quando scendevi perché tu venivi dal buio e il faro negli occhi accecava, invece di illuminare.
Poi i corpi scendevano dal treno e toccavano terra sulla rampa, ed erano corpi stanchi e anchilosati e atterriti e non c’era niente da capire, niente da capire.
Poi c’erano i lunghi e lenti serpenti di corpi che andavano in una direzione, e nessuno aveva più nulla in mano perché tutto ti avevano portato via: in mano c’era la mano di un figlio, tante volte, in braccio c’era il corpicino morbido e caldo di un figlio, tante volte.
E faceva freddo. Sempre. Tanto freddo.
Poi c’erano le baracche dove dovevi spogliarti anche se faceva sempre tanto freddo. E mani che spogliavano i figli, i vecchi.
Poi c’erano le docce che docce non erano, maledette docce che docce non erano.
Poi c’era il gas che usciva dalle docce, il respiro che mancava, le bocche che si spalancavano, gli occhi che uscivano dalle orbite per l’aria che mancava e la paura che spalancava i cuori, le viscere, la mente, i ricordi, i rimpianti, lo strazio, la paura, la paura, lo strazio, il dolore, il petto che scoppiava, la gola che si chiudeva, la bocca che si apriva, gli occhi che si sbarravano.
Poi c’erano i carretti su cui si ammassavano i corpi che la morte aveva spalancato e chiuso.
Poi c’erano le bocche dei crematori, quelle per noi erano sempre aperte e così sono rimaste, da allora.
Sempre aperte.
Un bagliore di fuoco là in fondo, dove la pala ci scaraventa, uno dopo l’altro, uno dopo l’altro.
Poi?
Poi c’è la ciminiera del forno, alta e scura eppure nel buio della notte, nella luce del giorno, si distingue da vicino e da lontano. Anche da tremendamente lontano, si vede la ciminiera.
Poi?
Poi dalla ciminiera esce un fumo scuro, più scuro della notte e più scuro dei giorni, allora come adesso.
Il fumo sale alto perché è leggero come la morte.
Il fumo sale fin dove non si vede più, si perde nella volta del cielo azzurro e lo tinge di grigio ma non è più fumo, è diventato il colore del cielo.
E poi?
E poi comincia a scendere una neve grigia come quel fumo. Una neve grigia e lenta e pesante che neve non è ma è come carta bruciata, erosa dal fuoco, impalpabile perché quando la sfiori o ti sfiora s’annienta nell'aria, muore dispersa nel niente, eppure se non la sfiori o non ti sfiora prima o poi cade per terra e lascia una specie di cenere che cenere non è ma neve di ciminiera, neve di forno crematorio, neve di camera a gas, neve di corpi spogliati nudi, neve di rampa di Auschwitz, neve di vagoni piombati che partivano pieni e tornavano vuoti, neve di appelli per nome e per numero, neve di rastrellamenti casa per casa, neve di bambini in braccio alle madri, di neonati attaccati al seno, di vecchi morenti, neve di disperazione e paura, neve di tutto quel che è stato ed è ancora e non passa, non passa, non passa per nessuno di noi.


Elena Loewenthal, "La lenta nevicata dei giorni", Einaudi, Torino, 2013.

13 commenti:

  1. C'è un solo commento possibile: ricordatevi di non dimenticare mai.

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  2. Non dimenticare mai, ma purtroppo in mezzo a noi c'è chi dimentica col suo razzismo infame.

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  3. Alla fine era diventato un po' ingombrante per essere un commento qui...

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    1. Come tuo solito. Ma io sono andato a leggermelo " a casa tua " nel tuo pezzullo "Razzista filosuino". Le tue teorie, come sempre, sono solo le tue, intangibili tanto fanno ribrezzo. Non mi sarei mai permesso di degnarti di un mio to se non avessi trovato colà una chicca da favola, peraaltro ripetuta, quindi non una svista né un refuso.
      Dove hai trovato quel verbo transitivo "avvocare"? La scoperta del secolo, mi sembra. Ti incarti talmente nelle elucubrazioni del tuo residuo di neurone da non accorgerti di coniare significati nuovi o addirettura parole nuove. Peccato che siano di una bruttezza pari alla tua intelligenza. Soltanto il Melzi, vecchio ed obsoleto vocabolario, porta codesto "avvocare" come transitivo scherzoso per "dare la laurea di avvocato". Nella prossima tua sortita usa il verbo transitivo "imbecillare", che credo ti sia più consono e affine.

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    2. ...di un mio to sta naturalmente per di un mio commento, chiedo venia umilmente...

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    3. Non concordo quasi mai con quello che dice e pensa l'Uomo, men che meno con il modo in cui si esprime.
      Tuttavia, visto che l'italiano non è soggettivo e ti prendi la briga di puntare il dito proprio su quello, mi corre l'obbligo di informarti che il verbo Avocare esiste eccome, così come esiste il sostantivo Avocazione, che da esso deriva e che significa "assunzione su di sè". Quindi, al massimo, all'Uomo si può rimporoverare la grafia scorretta, non certo l'inesistenza del lemma.
      Con tante scuse alla padrona di casa per l'intrusione chiaramente e completamente polemica.

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    4. Öllamadonna, Jacoponi,i travasi di bile vi fanno male!
      ;)

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    5. @Alahambra- Io non mi prendo alcuna briga. Tu piuttosto leggi distrattamente ciò che gli altri scrivono. Il verbo "avocare" è a me noto dai tempi delle elementari e il suo significato di chiamre a sé, assumere su di sé, dal latino a + vocare, mi è altrettanto noto. Ma io ho parlato del verbo AVVOCARE, che il nostro usa così:
      "poiché io avvoco veramnte l'uguaglianza di fronte all'etica". Più oltre ripete: "avvoco una società pubblicamente atea senza un dio sopra gli altri". Forse il nostro scrittorello intendeva INVOCARE, possibile.
      La prossima volta, caro Alahambra, leggi attentamente, giacchè io in materia di lingua sono sempre documentato e pertinente.
      @UU.IC- ti ho concesso l'onore di un mio commento solo per evidenziare l'ennesima panzana che hai scritto. Non ti gonfiare troppo. Tu m'arimbarzi.

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    6. Ancora una dimostrazione di grossolana superficialità linguistica del nostro saccente scrittorello. In una delle logoroiche risposte ai commenti di Euri in casa sua cita un motto tedesco a modo suo, cioè: "Uns über alles", naturalmente sbagliando. Se così fosse significherebbe "a noi sopra tutto", che non vuol dire niente.
      Si dice "Deutschland über alles", oppure "Wir über alles", che significano il primo Germania sopra tutto, il secondo noi (soggetto quindi in nominativo) sopra tutto. Uns è dativo di Wir.
      Non scrivi bene in italiano e ti cimenti in una lingua tosta come il tedesco?

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    7. Assolutamente hai ragione

      Wir [soggeto] über alles!

      Ho il tedesco un po' arrugginito, in effetti.

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    8. Scusate per errori (avvocare invece di avocare) e refusi (sogeto anche).
      A volte a scrivere di fretta...

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  4. l'umanità preferisce non portarsi dietro il peso della propria memoria storica.
    Forse pensa faccia meno male o forse non se ne cura affatto e non impara.
    Come fosse stato errore e non orrore.

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  5. Oggi avrei voluto leggere tutti i libri del mondo sulla Shoa e sugli ebrei. Avrei voluto fare una piena immersione in quell'epoca con tanta empatia. Una cosa che non coniugo al condizionale è il ricordo, terribile, allucinante, maledetto, quel che non smetterò mai di portare dentro. È troppo ciò che è successo, troppo!

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