4 maggio 2016

Mi dimentico di me

Quando leggo non esisto. Quando scrivo non esisto. Mi dimentico di me. Forse è per questo che leggo e scrivo con dedizione e costanza. Dimenticarsi di sé, almeno per un'ora al giorno, può diventare salvifico. Non esistere è il tripudio dell'esistenza e amo non esistere quando esistono solo parole in cui affondare o storie da cui lasciarsi annientare. E' una sorta di incantamento ed è esattamente quel che mi ripeto ogni volta che volto pagina o picchietto estraniata sui tasti. In quelle frazioni di tempo in cui mi dimentico di esistere sono più viva che in altri momenti in cui penso, dico e faccio. Pura malía ma malía essenziale.

[foto by Hengki24]

18 commenti:

  1. Leggo un tuo post, ma avrebbe potuto scriverlo Fernando Pessoa. Oggi il tuo pensiero si avvicina al grande scrittore e poeta portoghese.

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    1. Il paragone con Pessoa mi lusinga infinitamente. Ti ringrazio ma temo che sia un po' troppo generoso.

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  2. giusto ieri facevo una riflessione simile sulla lettura: buona quando fa dimenticare di sè, ottima quando fa dimenticare anche l'autore.
    massimolegnani

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    1. Sorrido.
      Io gli autori li dimentico spesso.
      Diventano presenti solo quando scrivono malissimo. E càpita anche questo!

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  3. Condivido questa esperienza di oblio di sé. È una sorta di rapimento che sperimento sin dall’infanzia, nella lettura e poi nella scrittura. È una fortuna.

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    1. Tu che sei poeta percepisci questa sensazioni in maniera ancora più potente. Ne sono certa.

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  4. a me capita solo con la lettura, l'ho sempre ritenuto sbagliato, come fosse una sorta di negazione della realtà. però è più forte di me ... salvifico davvero

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    1. Non so se la lettura neghi la realtà. Non ho mai avuto questa sensazione.
      Per me leggere è sempre un sistema di astrazione dalla realtà, non la sua negazione.

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  5. Quando leggo entro nella storia che sto leggendo. Partecipo e non vivo più la mia vita, ma quella dei personaggi del romanzo. Sempre successo. Sì, potrei dire come hai detto tu che mi dimentico di me.
    Ma quando scrivo no, perché io scrivo con tutto me stesso, non solo con le dita che sfiorano la tastiera: scrivo con gli occhi, con cui vedo confini di terre mai visitate; scrivo con le gambe con cui percorro sentieri e strade e vallate e boschi; scrivo soprattutto col cervello, che mi fa immaginare gigantesco, veloce e inarrestabile. È una condizione assai speciale quella che assumo mentre scrivo.
    L.A.

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    1. Immedesimarsi nei personaggi di una storia che viene letta è fondamentale per "sentire" fino in fondo quel che viene letto.

      Non so cosa tu scriva (a parte i commenti ai miei post), però mi farebbe piacere leggerti. Se ti va. Pura curiosità!

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  6. Quando leggo, vivo ciò che leggo ed altrettanto provo quando scrivo. Sono emozioni che solo chi si sa perdere fra le righe può conoscere e riconoscere.

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    1. Conosco una persona alla quale ripetevo spesso la stessa frase: "Diventi quel che leggi".
      E continuo a pensare che sia una dimensione molto vicina a quella che tu descrivi. Io non credo di arrivare a quel punto, ma ci vado nei paraggi.

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    2. In parte lo divento, in parte sono solo un osservatore, divenuto momentaneamente parte di quel mondo, ma senza poter interagire con esso.
      Chissà, forse è questo che sono i fantasmi.

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    3. Forse sì, i fantasmi potrebbero essere questo.

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  7. a me piace sempre ricordare il mio rettore in collegio perso a leggere Heidegger mentre io mi annunciavo "Signore, mi scusi, Signore, mi scusi, avrei bisogno di parlarle...torno più tardi..."...devo anche a lui l'amore per Heidegger.

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    1. E sono sicura che se oggi chiamasse te mentre leggi (Heidegger o altri) anche tu saresti altrove e non sentiresti nulla.
      Succede anche a me che non leggo Heidegger! Sorrido...

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  8. Ci estraniamo sempre quando scriviamo. Tanto che io non considero più mio quel che scrivo. Troppo legato a una fase di trance. Legato a condizioni spesso irripetibili. Resta roba nostra si. Ma cenere di fuoco diverso. Già a rileggerla un attimo dopo.

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    1. Trance. Credo sia la parola più adatta per descrivere questa non-esistenza.

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