1 settembre 2014

Profondamente divenire

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare.
Vittorio Alfieri

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente divenire. Non c'è irriverenza in ciò che scrivo. E neppure vera emulazione. Leggere mi fa divenire altro in un mutamento impercettibile, insospettabile. Perché in quel passaggio meccanico di parole d'inchiostro o pixel dagli occhi alla mente si cela la materia di cui saranno fatte le mie ossa, la mia carne e la mia anima. Somiglio sempre a tutto quel che scelgo di leggere e quel che leggo mi somiglia più di quanto potrei mai immaginare. Un'osmosi che esiste senza essere vista o detta: assimila sostanze e le rigenera facendole diverse. Non dico mai veramente nulla di nuovo perché in verità ciò che dico ha radici altrove.

[foto by EltonFernandes]

25 commenti:

  1. Sottoscrivo, ogni cosa!
    Leggere è crescere e non c'è niente di più bello :-)

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    1. Ammesso che si cresca nella maniera giusta.
      Che poi la maniera giusta è quella che piace. E, si sa, de gustibus...

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  2. Tutto vero quello che dici, anche per chi legge solo riviste di gossip.

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  3. Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei...

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  4. Quanto hai ragione. La lettura è il mio rito serale e non ci rinuncerei per nulla al mondo.

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    1. Per me è un rito mattutino. Diventa anche serale un po' meno di frequente. Ma come tutti i riti è sacro.

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  5. bello e vero quello che dici.
    e aggiungo che "quel passaggio di parole d'inchiostro o pixel" è in qualche modo bidirezionale, perchè anche il lettore fa "crescere" il testo.
    ml

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    1. Lo fa crescere se lo assorbe a tal punto da riversarlo in ciò che scrive a sua volta. Ammesso che scriva.

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    2. lo intendevo in senso più stretto: la lettura e l'interpretazione che ne dà il lettore può modificare il testo originale. se poi c'è un confronto tra lettore e scrittore ecco che la modifica può anche essere reale.
      ml

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    3. Non so quanto un lettore possa influenzare e addirittura modificare il testo di uno scrittore. Dubito molto...

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    4. bè tra noi "scrittori" di piccolo cabotaggio succede

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    5. Io non sono una scrittrice. Neppure di piccolo cabotaggio.
      Al massimo posso ritenermi una lettrice e non so neppure di quale cabotaggio.
      Sorrido...

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  6. C'è qualcuno che dice qualcosa di nuovo senza avere radici altrove? Io non credo. Si può avere uno stile proprio. Quello sì. Ma tutto ciò che scriviamo o diciamo è già stato, da qualche parte, scritto o detto.

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    1. La cosa più bella per chi scrive è illudersi che ciò che va scrivendo sia originale e mai stato scritto. Se così non fosse, probabilmente, gli scrittori sarebbero merce rara. Ed ora che ci penso, credo che non sarebbe neppure un gran male.

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  7. Accidenti! (Avrei preferito esordire con una verace espressione romana, ma lasciamo perdere).
    Capita, a volte, che mi irriti nel leggere ciò che scrivi; chissà perché nei tuoi confronti ho delle pretese, come se ogni tuo post fosse un articolo di un’autrice di cui si sono amati gli scritti e dalla quale non si ammettono scivoloni. Questo tuo scritto, invece, mi è davvero piaciuto moltissimo: la tua scrittura sta maturando. La proposizione “Non c’è irriverenza in ciò che scrivo” l’ho trovata perfetta nella geometria dell’argomentazione. Perdona l’eccesso di patetismo e pedanteria di questo mio commento. Un saluto, Jean Claude.

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    1. Ah, vedo ora: sei sotto l'influsso di Donna Tartt, capisco.

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    2. Eh lo so: non so perché nei miei confronti hai sempre delle pretese, come se ogni mio post fosse di un'autrice per la quale non sono ammessi scivoloni. Dovresti essere tu a spiegarmi questo strano atteggiamento.
      Anche perché non sono un'autrice, non ho scritti che si possano amare e di certo gli scivoloni non mi spaventano.

      La mia scrittura matura? Forse perché sto invecchiando, Jean.
      Non ho neppure iniziato a leggere il libro della Tartt. Tutto rimandato a questa sera, credo.

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  8. È una questione di stima, ne consegue un’esigenza qualitativa. Considero, inoltre, molti testi pubblicati nel tuo blog degni d’essere definiti scritti: “questo tuo scritto” l’ho utilizzato molte volte. In altre occasioni, invece, scrivi dei post. Comunque, ciò che ho scritto sopra era solo un complimento: accettalo.
    Non credo sia una questione di invecchiamento.
    Tolstoj pubblicò quello che viene considerato il suo miglior romanzo, un romanzo definito perfetto, nel 1877 mentre il suo ultimo romanzo Resurrezione, considerato troppo ideologico, lo pubblicò nel 1899.
    Molti altri esempi si potrebbero fare. Personalmente preferisco l’ultimo Tolstoj, quello dei racconti religiosi (ma questo poco interessa).

    Ho, quindi, sbagliato a scrivere “matura”, avrei dovuto scrivere consapevole, sicura di sé, un’evoluzione qualitativa che sì, si coglie anche in un solo “post”. Insomma, ribadisco: era un complimento.
    Ciao, Jean Claude.

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    1. Grazie.
      So quanto sia difficile ricevere un complimento da te. Soprattutto in un contesto come questo.

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  9. Leggere spesso comporta diventare ciò che si legga, è dannatamente vero.
    Se ciò che è scritto prende, allora non c'è scampo alle sue reti. Ciò che quelle righe offrono si mescola a quanto c'è in noi arricchendoci ogni volta di nuove emozioni.

    Saper fare altrettanto è un'aspirazione per me troppo grande per poter essere provata, quindi mi limito a prendere ciò che le parole degli altri riescono ad offrirmi.

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    1. E' una strana ed inspiegabile mescolanza di materia. Eppure esiste. Forse non si percepisce in maniera conscia, ma è così.

      Insomma: per il momento ci si "accontenta" del buon leggere. Sorrido...

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  10. il cuoricino qui non si può mettere, giusto ?perché renderebbe l'idea meglio di quello che voglio scrivere.

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