15 settembre 2014

Prati - Antonia Pozzi


Forse non è nemmeno vero
quel che a volte ti senti urlare in cuore:
che questa vita è,
dentro il tuo essere,
un nulla
e che ciò che chiamavi la luce
è un abbaglio,
l'abbaglio estremo
dei tuoi occhi malati -
e che ciò che fingevi la meta
è un sogno,
il sogno infame
della tua debolezza.

Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.

Ma noi siamo come l'erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.

Milano, 31 dicembre 1931

[foto by RoadioArts]

17 commenti:

  1. È la prima volta che trovo una poesia nel tuo blog. Bella la poesia, ottima l'idea di postarla.
    Io penso però che la vita sia quel qualcosa che ti senti germogliare dentro di primo mattino, soprattutto nelle stagioni belle; che sia quel qualcosa che ti morde dentro quando sai di avere fatto qualcosa che non andava, che tanti chiamano coscienza; che sia quel qualcosa che incombe dentro di te quando le cose vanno male, quando sei affaticato, depresso, angosciato, deluso, rattristato, sconfitto. Tutto questo io lo chiamo vita, vissuta e da vivere.
    Non sono un poeta e mi limito ad ascoltare, forse anche auscultare, queste sensazioni, queste pulsazioni. Le annoto, le trascrivo nella mente e le vivo intensamente.
    Pablo

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    1. Evidentemente ti smentisci da solo. Vedi?
      Se fosse vero quel che mi hai detto qualche tempo fa, ossia che frequenti questo blog da tempo (un anno?!), avresti notato che di tanto in tanto pubblico poesie. Mie o di altri.
      Per te questa è una novità?
      Allora non è vero che leggi questo blog da tanto tempo.

      Per il resto: non mi va neppure di perdere tempo.

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    2. Mia, qual'è il tuo problema? Vedi nemici appostati nel buio?
      Metto il naso nel tuo blog da circa un anno, l'ho detto e lo confermo, non mi perdo in stupide bugie. Mettere il naso non significa ogni giorno, io lavoro e ho parecchie cose da fare. Ho iniziato a lasciare miei commenti per un motivo che sai e che ben ti ho spiegato. Non mi ricordo di avere così spesso come dici tu letto poesia di altre persone. Mi sembra una di una poetessa polacca adesso che mi ci fai pensare. Ma non vedo la ragione per cui tu per una mia dimenticanza debba subito passare agli attacchi personali, dandomi del bugiardo.
      Non ti va di perdere tempo? Fai a meno di scrivere un blog.
      Pablo

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    3. Non vedo fantasmi e non patisco neppure crisi persecutorie. Mi danno solo molto, ma molto fastidio le persone che mentono. E, per me, tu hai mentito. Tutto qui.

      Non mi va di perdere tempo nel rispondere a persone che mi prendono in giro. Tutto qui.
      Il blog non è mai stata una perdita di tempo, stai tranquillo.

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    4. Tu ce l'hai in problema e te lo spiego a parte.
      Pablo

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    5. Io ho molti problemi, a dire il vero. E di solito me li risolvo da sola.
      Ma anche tu non scherzi.
      Peccato che sia sempre più facile vedere la pagliuzza negli occhi di un altro, piuttosto che una trave nei propri.

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    6. Io non ho problemi di sorta a parte l'altezza che mi obbliga a stare attento a lampadari e porte, ma ci sono ormai abituato. Ottima la storia della pagliuzza, vedo che sai fare anche autocritica. Niente male, niente male.
      Pablo

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    7. Scusa, ma...ottima la storia della pagliuzza...insomma, scritta così mi preoccupa. In più mi devo esser perso l'autocritica.

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    8. Scusa Anonimo anonimo...son contento che ti abbia aggradato la storia della pagliuzza...in senso generale si capisce. Nel particolare la mia voleva essere una ironica battuta e rovesciare i proprietari dei due occhi, quello con la pagliuzza dentro e quello con la trave, fare un ribaltone insomma, che vanno coooosì di moda oggidì.
      Pablo

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    9. In realtà non ho gradito, ho solo ripetuto la tua proposizione specificando che definirla genericamente una storia, mi faceva specie. Non virgoletto mai chi non conosco, quindi capisco che tu possa essere stato tratto in inganno. Nessuna polemica comunque e chiedo scusa per l’anonimato, Jean Claude.

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    10. Oh no! Sono io a chiederti scusa. Jean Claude, per aver equivocato.
      Allora mi chiarisco. Ho usato l'espressione "storia della pagliuzza" intendendo dire la faccenda della pagliuzza, l'uso della storiella arcifamosa della pagliuzza, una cosa così, Jean Claude. Perdonami ma io non sono un letterato né un poeta, parlo cercando di essere compreso e chiaro. Quando non ci riesco, oppure quando mi rendo conto di avere sbagliato chiedo scusa e basta, questione finita per me. Altri hanno bisogno della prova del DNA, impronte digitali et similia, io no. Non la tiro per le lunghe, non ho paura di rimetterci di dignità, chiedo scusa convinto che sia una questione di stile, di buona educazione, di creanza e di valenza del proprio I.Q, scusarsi quando si è sbagliato. Sono certo che sarai d'accordo con me, Jean Claude.
      Grazie del tuo intervento.
      Pablo

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  2. La vita è fatta anche di “abbagli” e di “sogni”. Quanti sogni aveva in serbo Antonia Pozzi! Erano i sogni di una donna dalla grande sensibilità: e fu proprio quella sensibilità ad ucciderla. La poesia è bella e triste. Come bella e triste era la poetessa. Vale la pena, perciò, trarre profitto e piacere dalla sofferta esperienza di vita di chi ha saputo nobilitare le sue pene attraverso la poesia, di chi ha saputo elevare la propria sofferenza a piacere per chi legge, perché nessuno meglio di chi è stato infelice può darci lezioni di quotidiana felicità.

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    1. Ho letto alcune sue poesie diversi anni fa. Quasi per caso. Ed altrettanto casualmente, stamattina, mi sono di nuovo imbattuta nei suoi versi.
      Ho recuperato questa poesia e mi è piaciuta l'idea di condividerla sul blog.

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  3. Mesta, forse anche bella, ma non nelle mie corde, tra l'altro malinconico anch'io, ma di un'altra specie, quella che simula sofferenza come per allenarsi a disastri solo avvertiti...

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    1. Simuli sofferenza?
      Sembra una sorta di capriccio utile ad attirare l'attenzione di chi ti sta attorno. Come fanno i bambini.

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  4. La mia poesia precorre. Viaggia terrorizzata nelle paludi del disastro. E' la paura che mi attanaglia che mi genera caos emozionale. E' uno scudo per me stesso, per una sofferenza che non conosco, per stritolamenti d'anima immaginari. E' un capriccio forse, rivolto alla mia sensibilità. Una difesa per venti ed eventi. Allevo il sopravvivere tra fragili pensieri. Attiro la mia di attenzione, spesso stupendo del fatalismo che genera.

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