4 novembre 2013

Una ragazza, un giorno, in metropolitana

Lei ha la mano sinistra intrecciata e fusa con quella destra di una donna che immagino subito essere sua madre. Lei ha gambe sottilissime coperte da una tuta scura che sembra avanzare stoffa in ogni angolo. Lei ha il viso scarno, di un pallore che si mescola con il disagio afflitto di dover stare tra la gente senza nessuna voglia di esserci. Vedo i suoi occhi e mi catturano in un istante. Lì dentro c'è un bagliore nerissimo intriso di un'angoscia senza limite. E' qualcosa che sento andare oltre il dolore, lo oltrepassa e lo inietta nei pensieri. I suoi. Quelli che io non so conoscere né misurare. Lei càpita, un giorno, in metropolitana.

[foto by jarrod343]

16 commenti:

  1. Di brevi incontri fulminanti posso raccontare io. Una sera sul tardi. entrando in una delle sale d'aspetto della Stazione Centrale a Milano -cercavo Anna Maria che lì di solito mi aspettava-, carpii al volo, durante lo sguardo panoramico a carrellata rapida, due occhi disperati, seminascosti sotto una fronte breve e rugosa. Trovata mia moglie e fattole un cenno, mentre lei arrivava tornai su quegli occhi lacerati dalla sofferenza. Si vedeva da lontano un miglio che stavano aspettando l'arrivo di qualcuno che immaginai non sarebbe mai arrivato. Chissà perché mi venne fatto di pensare che chissà da quanti giorni quegli occhi si aggrappassero su tutti quelli che mettevano il naso in quella sala d'attesa. Ecco il titolo di un racconto, che non scrissi: l'attesa. Un attesa infinita, senza soluzione. Alcuni anni dopo dipinsi un quadro, secondo me pieno di fascino, con quel titolo. Rappresentava una giovane donna seminuda affacciata ad una finestra durante la fase finale di un tramonto. Siamo tutti in attesa; la mia donna affacciata, quegli occhi disperati nella sala d'attesa della Centrale di Milano, tutti. Attesa senza fine.

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    1. La "mia" ragazza della metropolitana non aspettava nessuno.
      Forse solo se stessa. Mi è parso evidente che non stesse bene. Né lì dentro, né fuori. Sua madre (o quella che io ho immaginato tale) la teneva per mano anche se "lei" doveva avere almeno 25 anni.
      Nei suoi occhi ho "sentito" una sofferenza che non so dire. E che forse non sa dire neppure lei.
      Mi ha colpita immediatamente.

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    2. Che sguardo si ha quando si è ammalati?

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  2. bello pensare che qualcuno abbia la capacità o meglio l'intelligenza di "vedere" il dolore altrui

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    1. Chissà...
      Le mie sono sensazioni. Percezioni che arrivano da un solo, fuggevole sguardo. Lei guardava me, io guardavo lei. Ho capito che non avrebbe sostenuto la situazione e ho spostato gli occhi altrove. Ma "lei" mi è rimasta in mente.

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  3. E' bene, anche, però, difendersi dal dolore del mondo.
    Altrimenti ti sopraffà.

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    1. Il dolore del mondo ti arriva addosso a prescindere.
      Lo incontri o lo sfiori, come in questo caso.
      In altri momenti ti travolge e non ti lascia scampo.

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  4. quante cose in uno sguardo .. bello!

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  5. LEI soffre di anoressia e la madre l'ha accompagnata a una visita.
    Non hai intercettato lo sguardo della madre?
    Può essere che fosse ancora più sofferente di quello della figlia,
    intriso e sopraffatto da un senso di colpa imprescindibile

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    1. Sì, è quello che ho pensato anche io.
      La madre aveva uno sguardo semplicemente amorevole. E forte. Molto forte.

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  6. vedi che ha ragione la ministra?
    (scherzo, eh!)

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