8 marzo 2012

Scrivere del non-scrivere

Scrivere del non-scrivere è scrivere comunque. Una sorta di folle e ingenua bestiola che morde se stessa e se ne compiace. Lo so: è la festa della donna, ma della festa della donna non mi importa granché per cui, non avendo idee e neppure ispirazioni che valga la pena annusare, scrivo del non-scrivere. Di quell'astioso vuoto che si genera quando chi scrive non riesce a farlo, di quelle macchie polverose di colla e silenzi che, in ogni caso, non bastano a generare alcuna urgenza. Perché scrivere, per me, rimane un'urgenza così spietata da far arrovellare le viscere e parecchi pensieri. Ho mani vuote e testa assente. Per oggi, almeno.

[foto by voorikvergeet]

10 commenti:

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    1. Anche a me capita, soprattutto quando sono stanca (per altre ragioni).
      Poi passa però.
      Forse anche a te.

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  2. Eppure scrivi perchè alla fine le parole non necessariamente passano dalla mente.

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    1. Non so, secondo me passano per forza dalla mente.
      E quando la mente va altrove, le parole (scritte o dette) faticano ad arrivare.

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  3. Se non ci fossero giorni di non scritto, non ci sarebbero gli istanti di ispirazione. Credo profondamente che gli opposti e gli estremi che spesso ho considerato lontani e inconciliabili, abbiano un luogo d'incontro particolare, unico e differente ogni volta. Ed è il luogo in cui ci sentiamo in pace con noi stessi, come se avessimo scritto e allo stesso tempo come se l'avessimo evitato per stare altrove.

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    1. Probabilmente hai ragione.
      Se non esistesse le cose e la loro negazione, non sapremmo riconoscere né apprezzare niente.

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  4. beh, magari è l'influsso del libro in lettura:( _"fallimenti".
    a me piace il vuoto pneumatico mentale, anche perchè so che dopo riparto come una saetta.
    diciamo che cerco di approfittare e considerarla un'occasione di riposo e rigenerazione.
    quando succede è come se avessi da digerire o metabolizzare qualcosa.
    una specie di trance che forse dialoga meglio con l'arte figurativa, il disegno e la musica insomma con la comunicazione non verbale che tu mi insegni vale circa il 75% del tutto e quindi mi sembra giusto che ogni tanto che si pigli pure lei il suo spazio, o no?

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    1. In verità il libro si intitola "Fallire" ed è piuttosto interessante e sferzante (scheda ufficiale qui: http://www.quarup.it/?q=node/529).
      A me questo vuoto di idee e di sentire mi lascia atterrita. Lo conosco bene perché è capitato già. Eppure non mi so abituare a questa specie di aridità. Sono una "ladra": rubo parole, immagini, persone, avvenimenti... ogni giorno. Tutto potenzialmente è utilizzabile come ispirazione. Non ora però,

      Hai ragione: devo considerare questo vuoto come una stasi rigeneratrice.
      Mi servirà per ripartire al meglio. Presto o tardi.

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  5. E' una sensazione che conosco bene e che fa soffrire unicamente perchè si vuole dire, a tutti i costi, essere sempre ispirati. Gli spazi della non scrittura sono forse quelli in qui germina il discorso, quelli in cui la scrittura si prepara. E' il momento della preparazione, quello in cui ci si svuota.

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    1. Il fatto è che io mi sento costantemente ispirata. In teoria potrei scrivere più o meno sempre. In questi momenti, invece, non ce la faccio. Non arriva nulla.
      Forse è lo spazio necessario alla generazione di altra scrittura. Per questo me lo vivo così com'è. Un'attesa.

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