19 gennaio 2012

Sapere di non sapere è un obbligo morale

Sapere di non sapere è un obbligo morale, direi. Socratismi a parte: per conoscere sono costretta a rilevare e confermare una sconfitta. La mia. Quella che passa attraverso un tessuto che manca, una cavità nascosta e spesso inavvertita nella quale devo depositare altra conoscenza. Per imparare serve l'umiltà di colui che è disposto a farlo. L'ostinazione di chi non chiede mai abbastanza perché teme di sentirsi inferiore è la forma più oscena di stupidità. Scendo gradini in continuazione. So che ci sono universi interi in cui non ho mai messo piede. Per questo non posso che smontarmi in pezzi e ricostruirmi ogni volta.

[foto by PansaSunavee]

16 commenti:

  1. Non la chiamerei nemmeno "sconfitta". E' così ovvio e naturale, il non sapere. E' così onesto e intelligente ammetterlo. E' così bello chiedere, esser curiosi, voler esplorare, sperimentare... e sempre illuminati dalla luce del dubbio, dalla consapevolezza del mistero...
    Quelli che credono di sapere tutto (o anche di poter facilmente arrivare, a sapere tutto) non riescono nemmeno a farmi incazzare: mi fanno solo pena.

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    1. Sorrido.
      Il tuo atteggiamento somiglia molto al mio. Ma non mi sorprende poi molto.

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  2. Sono d'accordissimo con te e come te credo che sia un obbligo morale, almeno per me.

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    1. E' un obbligo morale, nel senso che si tratta per lo più di una questione di coscienza.

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  3. mi smonto e rimonto di continuo
    c'è un universo, è vero...

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  4. ...quelli che credono di sapere tutto e che ti deridono perché non sai...quelli si che mi fanno arrabbiare.

    "non posso che smontarmi in pezzi e ricostruirmi ogni volta"...bello...concordo in pieno col tuo pensiero.

    Paola

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    1. Quelli sono i saccenti. E spesso saccenti arroganti. Sono i peggiori perché, di solito, non sanno nemmeno trasmettere o condividere ciò che sanno.

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  5. Sai cosa mi fa pensare il tuo post?
    Che il saccente è un morto che cammina dentro un recinto, oltre il quale vede solo minacce al suo "sapere".
    Il sapiente è un vecchio saggio che ha vissuto per allargare i limiti di quel recinto.
    Il genio è un ragazzino che salta il recinto e va dove gli pare.

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  6. Ottime immagini, ruhevoll.
    Hai dato esattamente l'idea di come stanno le cose.

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  7. leggendo le prime righe del tuo post mi è venuta in mente la mia prof di filosofia al liceo.
    nel porre domande, da ragazzina, mi sono sentita sempre un'ingenua. soprattutto in relazione alle sapute risposte che mi venivano sciorinate.
    oggi continuo a chiedere.
    forse più di prima.
    anzi, decisamente più di prima.
    non ci vedo nulla di male.
    e non mi seccano più neanche le risposte sapute, le prendo per quello che sono: in ogni caso una fonte di approvvigionamento.
    che sia cultura, verità o opinione non fa poi tante volte molta differenza.

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  8. Di domande ne pongo centinaia al giorno. Che siano intelligenti o banali, di solito, non m'importa. Spesso, tra l'altro, non mi accorgo neppure di aver fatto una domanda. Voglio capire e per capire mi serve conoscere.

    Come vedi continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto.
    Anche se a volte si impara anche solo ascoltando o osservando in silenzio. Hai notato?

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  9. l'osservazione silenziosa è un'altra bella fonte.
    me la riservo sui mezzi pubblici, o ai tavolini dei bar sulla strada ;-)

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  10. Anche io la uso spesso sui mezzi pubblici.
    Ma anche in ufficio, tra le colleghe.
    In famiglia pure.
    Imparo un sacco di cose così!

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